giovedì 4 settembre 2014

AAA Scaleup Italiane Cercasi

Da quando la Commissione Europea ci ha posti alla guida di Startup Europe Partnership (SEP) stiamo guardando all’ecosistema delle startup da una prospettiva diversa: quella delle scaleup, ossia quel sottoinsieme di startup che sono state capaci di strutturarsi e sono pronte a fare il salto dimensionale (rimando a un post precedente per chi fosse interessato ad avere più dettagli sulla loro definizione).
Il motivo è semplice: un ecosistema di startup non può progredire se non è in grado di produrre imprese che crescono. Senza quelle (le scaleup, appunto), l’ecosistema è destinato a implodere e con esso a essere vanificati tutti gli sforzi e i risultati raggiunti in questi anni di lavoro. E sarebbe un grande peccato, perché tanto buon lavoro è stato fatto da parte di tanti.
È quindi giunto il momento di provare a testare il polso all’ecosistema italiano delle startup e a capire quante startup italiane sono state capaci di fare il salto di qualità per diventare scaleup. A ottobre, a Roma, in occasione del Matching Event di Startup Europe Partnership, presenteremo l’ultimo SEP Monitor (che riassume i risultati delle attività di Mapping di SEP, ne abbiamo pubblicato uno simile a giugno sulla Spagna, qui il link per il download).
Obiettivo: quantificare la parte maggiormente strutturata che sta emergendo dall’ecosistema italiano delle startup, identificando:
1) le scaleup, ossia quelle startup che producono fatturato o che hanno raccolto capitali da investitori. In via preliminare abbiamo identificato la soglia a mezzo milione di dollari (per chi fosse interessato qui un recente articolo che raccoglie il dibattito in corso sulle metriche);
2) le exit, ossia quelle startup che hanno completato la quotazione in borsa (IPO) o che sono state acquisite da altre aziende.
I dati che presenteremo non hanno l’ambizione di essere esaustivi (in quanto lo sforzo di mappatura che stiamo complendo a livello europeo è tuttora in corso). Tuttavia il contributo di tutti nell’indicarci nomi di startup che rispondono ai criteri indicati sopra è fondamentale per fornire un primo quadro ragionevolmente accurato.

Alberto Onetti, "La Silicon Valley", Corriere della Sera 

Scaleup : quando una startup diventa grande

Scaleup. Sono da un paio d’anni l’oggetto di discussione di una élite a livello internazionale che le identifica come la condizione affinché tutta l’energia innovativa e creativa che i vari ecosistemi di startup stanno generando non vada dispersa. Sherry Coutu lo scorso maggio a Brussels lo ha ribadito senza mezze misure: “E’ definitivamente tempo, anche in Europa, di spostare l’attenzione  dalle startup alle scalups”.
Ma, per fare questo, serve un terreno comune, ossia fare chiareza su quando una startup possa considerarsi cresciuta, ossia possa definirsi una “scaleup”.
In un articolo che ho pubblicato ieri sul sito di Startup Europe Partnership (iniziativa della Commissione Europea che ha come fine proprio quello di sostenere la crescita delle migliori startup europee) ho provato a fornire alcune indicazioni. Di seguito riassumo i punti principali.
Se si assume  – adottando lo stesso approccio che Steve Blank usa nel definire le startup – che le fasi di vita di una impresa siano, in gran parte, determinate dalla principale sfida che hanno di fronte, possiamo definire una scaleup come un “un’impresa operante in ambiti innovativi che vive una fase di crescita e di espansione e il cui sviluppo passa attraverso accordi strategici con grandi imprese“. Quindi i punti chiave che caratterizzano una scaleup (a differenza di una startup) sono crescita dimensionale e validazione di mercato.
Gli indicatori di riferimento per valutare una scaleup sono “copertura del mercato, fatturato, valore aggiunto e/o numero di dipendenti“. Fattori – va detto – non sempre di facile identificazione/reperimento se si ha a che fare con società non quotate, tanto che spesso si fa riferimento a proxy quali l’ammontare dei capitali raccolti.

Tale definizione è – come accennato-  in linea con quella di “startup” proposta da Steve Blank, che appunto identifica le startup come “progetti imprenditoriali in cerca di un business model scalabile”. Quindi la differenza tra startup e scaleup sta nel passaggio dalla ricerca di un business model (search phase) alla realizzazione del business model (execution phase).
L’idea che le scaleup rappresentino il passo successivo nel processo di evoluzione delle startup è confermata dal World Economic Forum che, in un recente report, ha identificato tre fasi: 1) stand-up 2) start-up e, appunto, 3) scale-up.
Va segnalato come l’esistenza delle scaleup discenda strettamente dalla presenza di un solido ecosistema imprenditoriale. Come ben segnala Brad Feld: “You have to have a vibrant ‘startup community’ to get to the point where you have enough interesting companies to ‘scale up’.”
Allo stesso tempo, per concretizzare le possibilità di crescita, le scaleup hanno bisogno di grandi aziende che possano fornire loro occasioni di crescita e di exit, sotto forma di acquisto/distribuzione di prodotti e servizi, investimenti e acquisizioni. Sono quei soggetti che definiamo scaler e che sono gli abilitatori della crescita delle scaleup. Quindi la presenza di grandi aziende all’interno dell’ecosistema favorisce la crescita delle scaleup (esempio tipico è la Silicon Valley), anche se le relazioni tra scaleup e scaler di solito hanno connotato internazionale e quindi possono avvenire anche al di fuori dell’ecosistema da cui sono fuoriuscite.
Ma quando una startup diventa una scaleup? Dopo aver validato le ipotesi alla base del proprio business model e quando è pronta ad avviare un percorso di crescita significativa, possibilmente esponenziale. Questo passaggio equivale al superamento della fase seed/early stage che, negli Stati Uniti in genere, è fatta coincidere con il Series A. Ossia “crossing the growth chasm”, riadattando l’espressione di  Geoffrey Moore’s  che,  auspicabilmente, dedicherà il suo prossimo libro alle scaleups.
La “lean methodology” ha aiutato tantissimo le startup nella ricerca  – in modo rapido, efficiente (ossia con investimenti limitati) ed efficace  – dei business model che potessero avere una chance di scalare.

di Alberto Onetti, "La Silicon Valley", Corriere della Sera 

La Parabola del Professore e del barattolo

Un professore, davanti alla sua classe di filosofia, senza dire parola, prende un barattolo grande e vuoto e lo riempie con delle palle da golf. Dopo chiede agli studenti se il barattolo è pieno. Gli studenti sono d’accordo e dicono di si. Allora il professore prende una scatola piena di palline di vetro e le versa dentro il barattolo. Le palline di vetro riempiono gli spazi vuoti tra le palle da golf. Il professore chiede di nuovo agli studenti se il barattolo è pieno e loro rispondono di nuovo di si.
Il professore prende una scatola di sabbia e la versa dentro il barattolo. Ovviamente la sabbia riempie tutti gli spazi vuoti e il professore chiede ancora se il barattolo è pieno. Anche questa volta gli studenti rispondono con un si unanime. Il professore velocemente aggiunge due tazze di caffè al contenuto del barattolo ed effettivamente riempie tutti gli spazi vuoti tra la sabbia. Allora gli studenti si mettono a ridere… A questo punto il professore spiega:“Voglio che vi rendiate conto che questo barattolo rappresenta la vita… Le palle da golf sono le cose importanti come la famiglia, i figli, la salute, gli amici, l’amore, le cose che ci appassionano. Sono cose che, anche se perdessimo tutto e ci restassero solo quelle, le nostre vite sarebbero ancora piene. Le palline di vetro sono le altre cose che ci importano, come il lavoro, la casa, la macchina, ecc… La sabbia è tutto il resto: le piccole cose. Se prima di tutto mettessimo nel barattolo la sabbia, non ci sarebbe posto per le palline di vetro né per le palle da golf. La stessa cosa succede con la vita. Se utilizziamo tutto il nostro tempo ed energia nelle cose piccole, non avremo mai spazio per le cose realmente importanti. Fai attenzione alle cose che sono cruciali per la tua felicità: gioca con i tuoi figli, prenditi il tempo per andare dal medico, vai con il tuo partner a cena, pratica il tuo sport o hobby preferito. Ci sarà sempre tempo per pulire casa, per tagliare le erbacce, per riparare le piccole cose…Occupati prima delle palline da golf, delle cose che realmente ti importano. Stabilisci le tue priorità: il resto è solo sabbia”. Uno degli studenti alza la mano e chiede cosa rappresenti il caffè. Il professore sorride e dice:“Sono contento che tu mi faccia questa domanda. E’ solo per dimostrarvi che non importa quanto piena d’impegni possa sembrare la vostra vita: c’è sempre posto per un paio di tazze di caffè con un amico!”.

domenica 31 agosto 2014

Marketing – La scritturazione e i media come indicatore

Tra le principali sfide affrontate dal marketing c'è la necessità di ridurre un dato sempre più abbondante ad un piccolo numero di indicatori. Con questi indicatori il marketing è in grado di misurare le prestazioni di un marchio, la business-unit di una società nel suo insieme e quindi agire così su queste informazioni.
In realtà, la maggior parte dei studiosi si basano su batterie di indicatori, di solito preparati dagli stessi venditori o dai dipartimenti di controllo di gestione in oggetto, per poi prendere diverse decisioni (strategiche o tattiche) e influenzare il futuro dell'azienda. Questi indicatori sono, in fondo, formule per descrivere volumi di informazioni sempre più abbondanti in modo semplice, informativo, intuitivo e facile da interpretare.Solo così l'indicatore può essere considerato valido e utile per il processo decisionale.
Nel marketing, si sente spesso parlare di indicatori come: la soddisfazione del consumatore medio, il tasso medio di abbandono (o drop-out), la quota media di portafoglio e il tasso medio di crescita delle vendite. Una cosa che la maggior parte degli indicatori hanno in comune è che questi di solito coinvolgono medie! In realtà, descrive le informazioni "grezze", attraverso il numero medio di osservazioni è abbastanza frequente.
Per questo ci sono ottimi motivi per cui è giusto usare i media come mezzo e indicatore. Infatti i buoni indicatori devono essere in grado di acquisire le informazioni contenute in molteplici osservazioni. Questo mezzo deve essere in grado di acquisire informazioni, utilizzando una formula che è facile da interpretare, applicare e comunicare.

Molti manager credono che altre misure, oltre la media, a volte ignorano informazioni importanti che non si utilizzano in modo efficiente per tutte le informazioni disponibili. Tuttavia questa convinzione non è corretta. E' importante quindi tenere presente che:
  1. l'uso di indicatori non è limitato esclusivamente all'uso di mezzi di comunicazione.
    La dimensione del campione, vale a dire il numero di osservazioni da cui calcoliamo l'indicatore, spesso contiene informazioni importanti.
  2. In ambienti a rischio di fallimento, un indicatore come "massimo" dà più peso alle osservazioni più rare e meno informative.
  3. Le aziende non hanno bisogno (e non deve) abbandonare l'uso delle medie come indicatori di performance.

La soluzione più semplice e meno rischiosa è quello di integrare, non sostituire, questi indicatori: utilizzare indicatori ibridi come il rendimento medio, un indicatore in parti specifiche delle osservazioni campionarie. E' un metodo efficace, che da una prospettiva di analisi interessante.
Questa scienza non può affidarsi ad una sola teoria, così come un manager non può inquadrare una gestione in un unico metodo, poiché è proprio nel DNA della disciplina l'atteggiamento ad essere sempre pronti ad approcciare nuove teorie e cambi di strategia.
Il marketing deve affidarsi sempre più a studi fondati sulle esperienze: è quindi importante l'utilizzo dei media, poiché è uno spaccato istantaneo di migliaia di esperienze comuni, che possono ispirare una decisione strategica o insegnare una scelta da evitare.

di Angelo Cervi

lunedì 28 luglio 2014

Benvenuti nel mio blog...

Salve a tutti, mi chiamo Angelo, ho 22 anni, vengo dalla provincia di Frosinone e nella vita studio Economia e Management.
Questo è il mio spazio, dove pubblico le mie considerazioni, le tematiche appartenenti alla mia terra, la Ciociaria, e numerose altre tematiche di matrice culturale, sociale ed economica.
Spero sia cosa gradita...buona lettura!
Angelo

Il fallimento delle politiche socio-culturali dell'Unione Europea

 

Può la cultura salvare l'Europa dalla crisi finanziaria?! Questo il nuovo tema del dibattito sulla costruzione di un Europa sociale, con l'azione culturale che diventa oggetto di coordinamento comunitarioSecondo questo approccio, vedremo che la cultura è un tema necessario e indispensabile in tema di integrazione regionale.

Fin dagli albori del progetto, non riuscendo a designare  un ambiente letteraio o artistico che sia, che riesca a dar un idea completa ad un progetto socio-culturale unico, l'Europa ha cerctao in passato di elaborare un insieme di strutture simboliche, in cui è possibile vedere parte della socializzazione delle classi, i gruppi che stanno formando nuove idee politiche e lo stile che la società adotterà a seconda delle linee di sviluppo. La cultura quindi doveva riflettere la sua dimensione sociale, dando significato e simbolismo alle relazioni sociali complesse e dando un cambiamento alle politiche culturali che si stavano sviluppando.  


Il tema della cultura arriva oggi in grande ritardo sui tavoli europei, poichè tale tema doveva essere affrontato da iniziative di integrazione sociale già quando era  imminentemente  la liberalizzazione delle frontiere doganali. Tuttavia, dall'inserimento di nuovi argomenti che portano la discussione alla costruzione di un Europa sociale, l'azione culturale è soggetta al coordinamento UE. Il quadro attuale della politica culturale europea è proprio il Trattato di Maastricht, in vigore il 1 novembre 1993, nel suo articolo 151.

La linea d'azione dell'UE ,analizzando le disposizioni del trattato, è passivo, soprattutto quando dice che "la comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri", cioè che, se necessario, si sosterrà la singola azione degli Stati membri in aree selezionate, conservando e tutelando il patrimonio, lo scambio e creatività locale. In effetti, la base giuridica per la cultura da segni di debolezza fin dalle sue prime azioni, poichè essa non è tutelata dalla giurisdizione europea e non da importanza alla sua attuazione.

La funzione culturale specifica è menzionata nel trattato, quando afferma che la comunità terrà conto dei vari aspetti dei settori che mirano principalmente a promuovere la diversità delle sue culture. E 'importante per la comunità politica culturale perchè così si possono eleggere subito ipotesi che non si ostacolano con altri settori. Ancora una volta però, il tema della cultura entra in scena politica scegliendo un comportamento negativo, poichè determina con ciò che non ci  può essere un contatto culturale tra la politica della regione e la politica economica di in un settore (occupazione, ambiente, politica urbana, istruzione). Tutto ciò dovrebbe essere guidato da un progetto politico e culturale unico.

In considerazione della debolezza degli strumenti giuridici a disposizione, il magro bilancio, la difficoltà  sul processo decisionale
della politica culturale, l'UE ha dovuto ricorrere ad altri sistemi di finanziamento, come ad esempio politiche per l'industria, i fondi strutturali e la cooperazione con altre regioni (America Latina e il Mediterraneo).
   
Un impronta della cultura si trova in una soluzione del Consiglio dell'Unione Europea che riconosce la cultura come "molto importante per l'integrazione dell'elemento regione". Il documento mette in evidenza il potenziale economico della cultura, il suo contributo al processo di allargamento dell'Unione europea e la sua capacità di migliorare la visibilità esterna dell'UE. In questo senso è stato preparato un piano di lavoro per proporre più efficaci azioni di ambito culturale, cercando di esonerare tali processi dalla direzione burocratico-politico del bilancio UE.

Questo dialogo ci illustra che la cultura ha bisogno di più esperienza per la sua importazione, bisogna avere la preparazione giusta per saperla adoperare, in un ambiente in perenne apertura a nuove proposte e prospero di caratteristiche politiche, che non aspettano altro che stimoli per rincominciare a correre.

In tal senso l'Ue, anche dopo il maggio 2014, sembra stia intentando nuove proposte dedite a propruovere uno sviluppo culturale: un vero e proprio affronto alla crisi finanziaria.  

Concludendo possiamo affermare il parziale fallimento delle politiche socio-culturali dell'Unione Europea: la giusta via sarebbe proprio quella dei finanziamenti. Ricordiamo che l'UE ogni anno elargisce milioni di Euro a fondo perduto in progetti culturali vari, spesso in quelli che promuovono un personale carattere. Sarebbe congeniale invece spostare tali fondi su finanziamenti progettuali che promuovano l'integrazione fra più culture, con l'avanzare di gemellaggi che mettano a confronto le diverse realtà dell'eclettica e variegata cultura dell'Europa.

Angelo Cervi

Il rapporto tra economia e cultura tra ill XX e il XXI secolo

Per tutto il XX secolo i campi della cultura e dell'economia crescevano sempre più vicini, guidati dal progresso scientifico e tecnologico e determinato dalla rivoluzione industriale. Questo è stato inizialmente il consolidamento dell'importanza socioeconomica del cinema e di altre industrie culturali. Più di recente, questo fenomeno è stato rafforzato con l'avvento della società dell'informazione, portando nuovi media e la crescente domanda di prodotti e servizi culturali.

Inoltre, nella fase attuale del capitalismo, le specificità culturali sono sempre più viste come fattori intangibili di produzione e di formazione umana della massima importanza.

La crescente preoccupazione tra gli economisti con i problemi derivanti dal rapporto tra economia e cultura è quindi associato alla comprensione che l'ambito della cultura è un punto centrale di interesse nel capitalismo contemporaneo.

Nei primi anni del ventunesimo secolo il mondo sta vivendo un'epoca segnata dalla crescente convergenza tra i fattori culturali e le dinamiche socio-economiche. Nel contesto si muove una società capitalista; le principali attività sono integrate dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e il flusso di informazioni in reti di computer.

 
Le attività culturali stanno mostrando un significativo impatto socio-produttivo. Soprattutto come fonte di attività lavorative connesse al patrimonio culturale, così come i prodotti e le industrie a contenuto culturale, intente a creare occupazione diretta e indiretta.per non considerare gli effetti delle specificità culturali, con i fattori intangibili di competitività delle imprese che hanno avuto motivi di crescente interesse con le nazioni.

Non ci sono ancora informazioni omogenee sul rapporto tra la cultura e la creazione di posti di lavoro; ancora c'è un essenziale mancanza di studi e dati. Tuttavia un centinaio di anni fa meno del 10% delle persone lavoravano nel settore creativo dell'economia mentre nel 1950 questa percentuale è salita al 15%; negli ultimi due decenni c'è stata un'esplosione ed oggi circa il 30% dei lavoratori nelle nazioni industrializzate avanzate sono nel settore creativo.

L'importanza della cultura in campo economico potrebbe già essere osservata durante tutto il XX secolo, con la crescita delle cosiddette "industrie culturali". Industria culturale è il nome generico dato a imprese e istituzioni la cui attività economica principale è la produzione di cultura, a scopo di lucro e per scopi commerciali. In quel secolo, i progressi tecnologici hanno stimolato la commercializzazione della cultura, con una crescente collaborazione tra le arti e le industrie.

Nel corso degli anni novanta la struttura delle industrie culturali è stato modificato in modo significativo con le nuove tecnologie digitali. Questa crescita è stata considerata un nuovo oligopolio globale rispetto per l'industria automobilistica all'inizio del XX secolo.

Queste evolutive dinamiche delle industrie culturali hanno portato i suoi agenti a rivedere la produzione flessibile. Infatti, il settore si presenta come un fattore chiave di sviluppo per la diffusione di rapporti di produzione. Dopo la seconda guerra mondiale,a Hollywood si è sperimentato l'uso di sistemi di produzione modulari, progetto formattato a progetto. Oggi la ricerca della flessibilità produttiva è diventato un tonico tra gli aspetti più dinamici del settore dello spettacolo e dell'economia in generale. Con questo scenario competitivo globale, in questi segmenti che portano alla micro-segmentazione dei mercati, grandi oligopoli stanno gareggiando nel raggiungimento di economie di scala .
 
Negli ultimi anni, con lo sviluppo delle telecomunicazioni, c'è stato un cambiamento significativo nel processo di produzione dell'industria culturale. Con la crescente diffusione dei prodotti culturali (libri, musica, film) tramite i media digitali, la digitalizzazione sta facendo concorrenza ,contrastando il mercato più tradizionale


Un altro fenomeno osservato nel capitalismo contemporaneo è la culturalizzazione della merce. L'integrazione della cultura nel processo di produzione, vale a dire l'aumento del valore culturale - estetico, spirituale, sociale o simbolico - si inserisce nella costruzione dei beni durevoli e di consumo non durevoli. La cultura "crea valore", genera differenziale perché è incorporata nei prodotti, negli stili, nelle preferenze, nelle soggettività, nelle norme di consumo. Così, le merci vengono dotate di valore culturale.
 
Al volgere del millennio, vi è la definizione di industrie creative, estesa alle attività che hanno origine dalla creatività, abilità e talento individuale, che hanno il potenziale di generare ricchezza e occupazione nello sfruttare la proprietà intellettuale. La definizione comprende attività come le arti dello spettacolo, arti visive, letteratura, musei, gallerie, archivi e conservazione del patrimonio, nonché altro ad alto valore aggiunto di design come la pubblicità e il marketing, architettura, web e software, grafica e moda, al di là dei supporti nei suoi vari formati digitali, film e video, giochi, musica e pubblicazioni.
Anche in una linea di ricerca sulla cultura e lo sviluppo, vale la pena evidenziare le interfacce tra l'economia della cultura, del turismo e la pianificazione urbana o regionale. Il punto di incontro tra turismo e l'economia della cultura è che il grado di attrattività delle destinazioni, e molto risiede nelle loro differenze e specificità culturali.

Il successo di destinazioni come la Francia e la Spagna vanno a rafforzare questa prospettiva. Inoltre, direttamente o indiretamente questa interfaccia incoraggia la conservazione e rivitalizzazione dei centri storici e culturali.

Il turismo culturale è identificato come una categoria con grandi possibilità di promuovere lo sviluppo socio-economico locale. Da questo punto di vista, la rivitalizzazione urbana si applica alle città che possono attrarre e sviluppare un popolo culturale e creativo. Questi sarebbero chiamate città creative, capaci di ospitare alcuni dei settori economici più dinamici del capitalismo contemporaneo.

I fenomeni di cui sopra sono stati le principali sfide per la scienza economica, che continua a richiedere studi più specifici che collegano l'economia e la cultura. Cercando di rispondere alle varie domande che coinvolgono questi ed altri fenomeni, la ricerca sul rapporto tra cultura e l'economia è cresciuta negli ultimi anni.

L'economia della cultura (o l'economia culturale) è una branca della scienza economica che studia gli effetti di tutte le attività economiche collegathe a espressioni artistiche e creative di una società. Da questo concetto, si comprendono tutte le attività legate al sentimento, alla memoria, al  folclore, alla narrativa, o ad una serie diversificata di prodotti e servizi che vanno dal libro, al film, alla moda, al teatro o alla televisione.

L'economia della cultura consiste in uno strumento analitico per risolvere i problemi urgenti relativi agli effetti economici dell'attività culturale. Quindi, questa è una disciplina che si è consolidata come forza di un campo fertile sia per la ricerca teorica che per la verifica empirica.

L'attenzione degli economisti per l'analisi della cultura e la portata degli effetti economici è piuttosto recente. Tuttavia, al giorno d'oggi, l'economia della cultura come particolare campo di lavoro all'interno della scienza economica sta registrando un riconoscimento istituzionale ed accademico progressivo, dovuto principalmente a tre fattori:
· Le attività legate alla cultura sono una fonte importante di occupazione e di generazione di reddito.
· La condizione della cultura per il bene pubblico è un'attività che è, per eccellenza, oggetto di intervento pubblico.
· La cultura è un terreno ideale per l'applicazione dei "nuovi sviluppi" dell'economia soprattutto nei settori dell'economia dell'informazione, l'innovazione e la conoscenza istituzionale.

Angelo Cervi

mercoledì 3 aprile 2013

I dolci tipici: il pangiallo

Il pangiallo è un tipico dolce natalizio del basso Lazio, soprattutto nel verolano, che trae origine addirittura dall'antica Roma.
Era infatti usanza in epoca imperiale regalare tale dolce dorato per la festa del solstizio di inverno, così da augurare il ritorno del sole.
La ricetta originaria prevedeva solo frutta secca, miele e cedro ma col tempo la ricetta è molto cambiata.
Ingredienti:
- 300 gr di farina
- 60 gr di nocciole
- 60 gri di noci
- 60 gr di pinoli
- 60 gr di mandorle
- 100 gr di cedro
- 200 gr di miele
- 100 gr di cioccolato fondente
- 200 gr di uvetta sultanina
- 1 uovo
- 1 cubo di lievito
- spezie a piacere (cannella, noce moscata, chiodi di garofano)
- 40 gr di burro

Procedimento:
Mettere a mollo l'uvetta per mezzora, scolarla e strizzarla.
Tritate tutta la frutta secca con il cedro, sciogliete il lievito in acqua tiepida ed aggiungete tutto alla farina su una tavolozza, ammassando il tutto. Aggiungete l'uvetta.
Sciogliete il miele, scagliate il cioccolato ed aggiungete all'impasto. Aggiungete ora l'uovo, il burro fuso e le spezie.
Fate riposare per 6 ore.
Fate dei panetti e cuocere per circa mezzora a 180°.

Fate raffreddare, e servire con una spolverata di zucchero a velo con un buon vino passito.
Ricetta molto gustosa ma anche molto calorica!

di Angelo Cervi 


sabato 30 marzo 2013

Le ricette tipiche: insalata di valeriana pere noci e formaggio

Questo tipico antipasto, fatto da ingredienti estremamente semplici, trova posto nei più raffinati menù. Eppure trae origini dalle più semplici cucine ciociare, con i suoi ingredienti facilmente reperibili. L'abbinamento agro-dolce, tra l'amaro delle noci e della valeriana, il dolce della pera e il salato del formaggio da origine ad un antipasto veramente gustoso e particolare.
Ingredienti x 4 persone:
- 2 pere Abate
- 150 gr di noci
- 200 gr di formaggio di pecora
- 300 gr di valeriana
- sale, olio evo q.b.

Procedimento:
Lavare la valeriana e metterla in una scodella, poi conditela con sale e olio. Sbucciate le pere, fatene dei cubetti ed aggiungetele all'insalata con le noci. Poi tagliate il formaggio (di pecora, bassa stagionatura) a striscioline ed aggiungetelo all'insalata. Mescolate il tutto ed aspettate almeno 10 minuti prima di servire.

La ricetta come vedete è estremante facile. Una semplice insalata ma dalle grandi soddisfazioni.
Ottima da servire con la carne alla brace o come antipasto.
Possono essere variati i tagli: sia le pere che il formaggio possono essere tagliati alla julienne, a striscette (1x3 cm) oppure a fette (tipo toast). Esistono delle varianti con il formaggio morbido e il gorgonzola.
A discrezione l'insalata può essere condita con pepe e cannella.

Buon Appetito!!!



di Angelo Cervi 

venerdì 29 marzo 2013

I dolci tipici: le ciambelline al vino

Dolce basilare e semplice della tradizione ciociara: le ciambelline al vino. Estremamente facili da fare, ingredienti presenti in ogni tinello. Numerose varianti nell'ingrediente caratterizzante, il vino e la fantasia delle sue forme fanno diventare questa ricetta un puro divertimento.
Questo dolce faceva parte della cesta tipica che si offriva ai matrimoni, in cui si componevano buffet a base di sole ciambelle dolci e salate.
La ricetta di seguito è quella classica e basta per 50 ciambelle.
Ingredienti:
- 1 bicchiere d'olio evo
- 1 bicchiere di vino bianco
- 1 bicchiere di zucchero
- 1/2 bustina di lievito
- farina 00 q.b.

Per la glassa:
- acqua tipida
- vino bianco
- zucchero di canna

Procedimento:
Mettere in una scodella vino e zucchero e mescolare bene per 2/3 minuti. Aggiungere l'olio, mescolare, e cominciare ad aggiungere la farina. Appena il composto non sarà più liquido, spostatelo su una tavolozza e cominciate ad aggiungere la farina, ammassando il panetto.
Quando il composto sarà omogeneo (circa 10 minuti di ammasso) mettetelo a riposare a temperatura ambiente per circa 30 minuti (il panetto dovrà sembrare unto).
Ora infarinate la tavolozza, fate piccole strisce al panetto e cominciate ad allungare la pasta a modo di cilindro (diametro 1 cm) e formate le ciambelline.
Fatte tutte le ciambelle procurate una pinza, e prendendole con cura affondatele al vino (con un po di acqua tiepida) e poi nello zucchero così che si ci attacchi.

Mettetele in una teglia e cuocete il tutto a 180° finché non saranno ben colorite (15 minuti circa).

Come detto questa ricetta è molto sfiziosa. Non solo perché la pasta molto malleabile può adattarsi ad ogni forma e fantasia ( a forma di treccia, listelli, biscottoni)  ma perché le varianti del vino offrono stuzzicanti iniziative.

Per esempio al posto del vino bianco (buono un Cesanese DOC) può essere usato: vino rosso (anche un Caberbet DOC della Val di Comino), rattafia, limoncello (consigliato), moscato, spumante, sidro e perfino sambuca.

Insomma ogni tipo di bevanda alcolica dalla bassa gradazione, purchè molto aromatica.

Se risultano troppo pesanti evitare la glassa e sostiuite agli ingredienti lo zucchero a velo e l'olio di semi.

Le ciambelline sono ottime da accostare a passiti e vini liquorosi.
Risultato eccezionale, ricetta semplice e dal gran sapore.

di Angelo Cervi